Le corone stellari non sono risolte spazialmente con gli attuali telescopi che operano nella banda X. I brillamenti stellari rivelati nalla banda dei raggi X hanno molte analogie con i brillamenti osservati sul Sole: la forma della curva di luce, le elevate temperature (sopra i 10 milioni di gradi), i tempi scala caratteristici. L'utilizzo di analoghi modelli fisici permette, nel caso dei brillamenti stellari, di ottenere informazioni sulle strutture coronali in cui essi avvengono, che non possono essere risolte come nel caso del Sole.
Studiando le leggi generali di decadimento dei brillamenti, si è appurato che il tempo scala di decadimento è proporzionale alla lunghezza dell'arco coronale in cui avviene il brillamento. Dal tempo di decadimento si possono dunque stimare le dimensioni dell'arco, anche in assenza di immagini dirette della regione del brillamento. Tale procedura è complicata dal fatto che durante il decadimento si possono ancora avere notevoli rilasci di energia che, allungandone la durata, porterebbero ad una sovrastima della lunghezza. Secondo studi svolti dal nostro gruppo, è ancora possibile ottenere stime affidabili attraverso dei termini correttivi che tengono conto dell'effetto di questo riscaldamento residuo, ottenuti tramite una serie di simulazioni idrodinamiche.
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Questo metodo ha avuto riconoscimento in ambito internazionale per applicazioni a brillamenti stellari osservati con Einstein, RoSat, ASCA, BeppoSAX e XMM-Newton ed ha avuto ad esempio, un'importante conferma nell'applicazione a un brillamento sulla stella Algol nel quale le dimensioni della regione interessata si sono potute determinare indipendentemente, perchè soggetto a eclissi. Le dimensioni sono largamente sovrastimate da altri metodi mentre il nostro metodo fornisce una stima più vicina a quella ricavata dallo studio dell'eclisse. Recentemente un membro del gruppo ha presentato due rassegne sulle applicazioni ai vari casi stellari a congressi internazionali sulle corone solare e stellari (Reale 2002, A.S.P. Conference Series, 277, 103, Reale 2003, Adv. Sp. Res., 32, 1057).
Osservazioni stellari da parte dei satelliti di ultima generazione hanno evidenziato brillamenti con particolare dovizia di dettagli. Un esempio è dato da un brillamento osservato sulla stella Proxima Centauri dal satellite XMM-Newton (Reale, Güedel, Peres, Audard, 2004, A&A, 416, 733). La curva di luce estremamente dettagliata presenta massimi secondari che, secondo l'analisi svolta, dovrebbero indicare l'innesco di brillamenti a catena in arcate coronali adiacenti all'arco iniziale. Un comportamento analogo é stato già osservato sul Sole (Fig. 25) e sembrerebbe essere comune a diversi altri brillamenti stellari, come, ad esempio, uno di quelli rivelati nel corso di un'osservazione dell'ammasso stellare giovane Blanco 1 (Fig, 26, Pillitteri et al. 2005).
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Nel corso del 2004/2005 il gruppo è stato coinvolto nell'analisi estensiva e sistematica dei brillamenti osservati nell'ammasso di Orione nel corso della campagna COUP (vedi §3.1.1). Quest'analisi ha richiesto la simulazione dettaglia tramite un modello idrodinamico di uno dei brillamenti osservati (Fig. 27) che ha permesso di dimostrare come questo brillamento debba essere avvenuto con tutta probabilità in un arco coronale molto esteso, di dimensioni paragonabili alla distanza stella-disco.
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Brillamenti di simile entita` e durata e con caratteristiche del tutto analoghe sono in corso di studio su oggetti stellari giovani (Giardino et al. 2006) e su stelle giganti come HR 9024.