OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI PALERMO GIUSEPPE S. VAIANA

Report Annuale


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Dinamica di brillamenti stellari

La fenomenologia dei brillamenti X solari e stellari rivela profonde analogie che suggeriscono la presenza di meccanismi fisici comuni.

I brillamenti solari sono provocati da violente immissioni di energia all'interno di strutture magnetiche coronali chiuse. In molti casi il plasma, pur soggetto a tale violento riscaldamento, rimane confinato all'interno di tali strutture (archi coronali) e la sua evoluzione, come pure le proprietà globali dei brillamenti coronali solari (p.es. le curve di luce X) risultano ben descritte da modelli idrodinamici unidimensionali.

I brillamenti X stellari non sono risolti dai telescopi attuali, ma, vista l'analogia fenomenologica, si può ipotizzare che avvengano in strutture e con modalità simili a quelli solari. Il nostro gruppo si è mosso da tempo su questa linea, sfruttando il modello solare per dedurre delle proprietà del plasma e delle strutture coronali stellari coinvolte, ed, in particolare, le loro dimensioni geometriche, che sul Sole sono misurabili direttamente ma non sulle stelle.

L'attenzione si è concentrata sulla fase di decadimento dei brillamenti. Il raffreddamento del plasma è legato in particolar modo a processi diffusivi di conduzione termica e la sua durata è dunque legata alle dimensioni della struttura in cui il plasma si trova. Ne segue che il tempo di decadimento delle curve di luce risulta tanto maggiore, quanto più lungo è l'arco coronale nel quale il brillamento avviene. Questa proprietà viene in genere sfruttata per stimare la lunghezza di archi coronali stellari. Tuttavia, tali stime spesso non sono interamente affidabili, in quanto il decadimento può essere prolungato oltre il previsto se è presente un riscaldamento residuo ma significativo durante il decadimento. In tal caso la lunghezza ricavata può risultare quindi sovrastimata, anche significativamente.
 

Figure 25: Sintesi, a partire da un modello idrodinamico, della fase di decadimento di un arco coronale soggetto a brillamento su una stella di classe M, con gravità tre volte e raggio 1/3 quello solare. L'arco ha lunghezza 40000 km e temperatura 20 MK all'inizio del decadimento. A sinistra è visibile la curva di luce (normalizzata e sintetizzata dai risultati del modello), come sarebbe osservata da ROSAT/PSPC; $\tau$è il tempo caratteristico di decadimento (in sec) ricavata da una forma di decadimento di tipo esponenziale (indicato dalla linea trattegiata). A destra mostriamo la traiettoria nel diagramma $\sqrt{EM}$-T, ed il fitting con una retta, la cui pendenza è riportata ( slope).
Il metodo sviluppato dal gruppo consente a partire da questi dati di risalire alla lunghezza dell'arco. 
\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=starfl_dec.ps,width=12cm}}\end{figure}
Il nostro gruppo ha partecipato a studi, in collaborazione con lo Space Research Centre di Wroklaw (Polonia), che hanno evidenziato come esistano dei traccianti della presenza di riscaldamento durante il decadimento dei brillamenti. In particolare la presenza di un riscaldamento significativo provoca una diminuzione della pendenza della traiettoria (lineare) tracciata dal decadimento del brillamento in un diagramma densità temperatura. Se si è dunque in grado di ottenere questa traiettoria si può risalire alla presenza del riscaldamento e tenerne opportunamente conto per stimare la lunghezza dei relativi archi coronali.

Basandosi su questo principio, e attraverso il modellaggio idrodinamico della fase di decadimento di brillamenti in archi coronali chiusi per diverse lunghezze degli archi e in presenza di riscaldamento più o meno prolungato, il nostro gruppo ha sviluppato un metodo per la stima della lunghezza degli archi dall'analisi del decadimento, che tiene conto anche della presenza dell'eventuale riscaldamento residuo e che, quindi, risulta molto più affidabile di metodi precedentemente applicati (si veda sez.2.4.5).

Si sono in pratica ricavate delle formule che forniscono la lunghezza dell'arco, dati il tempo di decadimento della curva di luce, la temperatura massima del brillamento, e l'andamento del rapporto tra densità e temperatura. Le formule variano a secondo dello strumento che ha osservato il brillamento, perchè cambia la banda spettrale e la sensibilità alla temperatura del plasma.

La procedura è stata verificata con risultati molto soddisfacenti su brillamenti solari osservati con il Soft X-ray Telescope a bordo del satellite giapponese Yohkoh (cf. sez.2.4.5).

Recentemente la tecnica è stata calibrata per brillamenti osservati con molti strumenti in missioni non-solari come ROSAT/PSPC, Einstein/IPC, ASCA/SIS, BeppoSAX/MECS, in modo tale da poter stimare indirettamente le dimensioni degli archi coronali stellari.

La Fig. 25 mostra come apparirebbe la curva di luce e la traccia del decadimento in un diagramma densità-temperatura di un brillamento avvenuto in un arco coronale lungo 40.000 km e osservato con ROSAT/PSPC su una stella di classe M, con gravità tre volte e raggio 1/3 quello solare (Fig.26).

Come ulteriore perfezionamento del procedimento, si é fatto uso di avanzate tecniche di analisi statistica, per poter sfruttare al meglio il limitato numero di fotoni che in genere caratterizza le osservazioni X stellari e in particolare quelle di ROSAT/PSPC e Einstein/IPC. Si ha così a disposizione un potente strumento che permetterà l'analisi sistematica ed estensiva di brillamenti X stellari osservati con questi strumenti.

Come prime applicazioni si è ricavata la dimensione di strutture coronali soggetti a brillamenti sulle stelle AD Leo e CN Leo. Tali lunghezze risultano significativamente minori di quelle stimate in base a criteri meno raffinati, che non tengono conto della presenza del riscaldamento durante il decadimento. Queste differenze hanno implicazioni importanti sulla questione della presenza o meno di strutture su grande scala soggette a brillamento e sull'estensione e intensità dei campi magnetici coronali sulle altre stelle.
 

Figure 26: Rappresentazione pittorica dello scenario ipotizzato nel modello, di cui alla fig.25. Mostriamo in scala l'arco coronale in cui avviene il brillamento (indicato dalla freccia) in un'immagine X del Sole (cortesia team Yohkoh/SXT) ridotto alle dimensioni della stella M. Il cerchio grande rappresenta, in proporzione, le vere dimensioni del Sole.
\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=starfl_im.ps,width=10cm}}\end{figure}
Risultati analoghi sono stati ottenuti successivamente analizzando altri brillamenti sulla stella AD Leo, un brillamento molto intenso sulla stella simile EV Lac osservata con ASCA/SIS, e brillamenti su stelle molto attive come AB Dor e Algol. Quest'ultimo caso è di estremo interesse, in quanto un raro caso in cui si hanno dei vincoli indipendenti sulle dimensioni della regione in brillamento, dovuti al fatto che il brillamento ha subito un'eclissi da parte della stella secondaria. Il metodo in questo caso ha fornito una lunghezza sia pur marginalmente compatibile con i vincoli dettati dall'eclissi, contrariamente ad altre stime che non tengono conto del riscaldamento durante il decadimento e che hanno fornito lunghezza decisamente maggiori e incompatibili.



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