OSSERVATORIO ASTRONOMICO DI PALERMO GIUSEPPE S. VAIANA

Rapporto Annuale


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Spettroscopia X di corone stellari.

Negli ultimi anni, osservazioni in raggi X di sorgenti coronali sono state possibili con i satelliti ROSAT, RXTE, ASCA e SAX, ma solo gli ultimi due hanno fornito dati con una risoluzione spettrale sufficiente per lo studio della strutturazione termica e composizione chimica delle corone stellari. In particolare, il Solid-state Imaging Spectrometer (SIS) a bordo di ASCA è stato il primo rivelatore, basato su CCD, a fornire in modo sistematico spettri X con risoluzione spettrale (FWHM) $\Delta E =$ 0.1-0.2keV nella banda 0.5-10keV, mentre SAX è stato il primo satellite a fornire spettri sulla più estesa banda spettrale finora coperta, 0.1-300keV, grazie a quattro rivelatori simultaneamente attivi; per confronto con ASCA/SIS, la risoluzione spettrale di uno di questi, il Low-Energy Concentrator Spectrometer (LECS, basato su un contatore proporzionale a gas), é $\Delta E/E \approx 0.2$ a 1keV, con una dipendenza dall'energia dei fotoni raccolti proporzionale a E-1/2, nella banda 0.1-10keV.

Tali strumenti hanno consentito di affrontare due tematiche relativamente nuove nel campo dell'astrofisica delle corone stellari, lo studio delle abbondanze chimiche nel plasma coronale e lo studio della componente ad alta energia (> 10keV) nell'emissione spettrale delle sorgenti stellari. A questi argomenti si aggiunge quello della strutturazione termica delle corone, già aperto da studi precedenti basati su osservazioni con i satelliti Einstein e ROSAT (PSPC).

La possibilità di stimare, almeno in linea di principio, la metallicità del plasma coronale e possibilmente anche le abbondanze individuali di alcuni elementi, deriva dal fatto che l'emissione X delle corone stellari è otticamente sottile e gli spettri sono ricchi di righe di emissione. Se ottenuti con sufficiente rapporto segnale/rumore e risoluzione energetica, questi spettri forniscono un potente mezzo di diagnostica per la determinazione di numerosi parametri, quali la distribuzione della quantità di plasma emittente in funzione della temperatura (misura di emissione differenziale), la densità, le abbondanze chimiche, e permettono di valutare l'assorbimento interstellare e/o circumstellare.

Le caratteristiche degli strumenti di osservazione finora utilizzati, inclusi ASCA e SAX, sono tali da non consentire di risolvere singole righe di emissione, ma piuttosto complessi di righe che originano da transizioni al livello fondamentale degli atomi più diffusi nei plasmi astrofisici (Mg, Si, S, Ar, Ca, Fe), tutti fortemente ionizzati per via delle temperature elevate (> 106K). Con questo tipo di dati osservativi, la tecnica più usata per ricavare informazioni fisiche sul plasma emittente è quella di confrontare lo spettro osservato con uno spettro teorico, cercando di ottenere il miglior accordo (best fitting) al variare di un certo numero di parametri liberi nel modello (temperature, misura di emissione, abbondanze, densità di colonna di idrogeno). Studi spettrali di questo tipo sono stati condotti dai ricercatori dell'Osservatorio di Palermo e dai loro collaboratori su spettri ottenuti da varie missioni spaziali, compresi i satelliti Einstein, EXOSAT, ROSAT, ASCA e SAX. Risultati soddisfacenti, da un punto di vista statistico, sono stati ottenuti assumendo modelli di corona relativamente semplici, comprendenti una o due componenti termiche, o una distribuzione continua di misura di emissione in funzione della temperatura. Per una migliore interpretazione dei risultati dell'analisi, dal punto di vista fisico, sono stati adottati in alcuni casi modelli fisicamente più dettagliati, in particolare modelli di emissione da plasma confinato in strutture magnetiche chiuse (archi coronali), come quelle osservate nella corona solare (vedi §2.1.5).
 
 

Figure 11: Sintesi dei risultati di tre simulazioni di fitting di spettri SAX/LECS e ASCA/SIS, assumendo un modello con due componenti isoterme. Le temperature di ingresso sono state fissate a T1Inp = 0.5 keV e T2Inp = 2 keV, mentre le misure di emissione sono state assunte uguali. Il numero totale di conteggi in ciascuno spettro è stato variato come indicato in ascissa di ciascun pannello, per valutare l'effetto della statistica sugli errori al 68% e al 90% nei valori di best-fit dei parametri. Ciascun pannello mostra tali errori per ciascuno dei parametri, in funzione del numero totale di conteggi, e per ciascuno dei due strumenti (S per SAX, A per ASCA). I due pannelli superiori mostrano gli errori sulle temperature delle due componenti, mentre i pannelli inferiori mostrano gli errori sul rapporto delle misure di emissione (in basso a sinistra) e sulla metallicità (in basso a destra). Notare come gli errori su quest'ultima quantità siano minori nel caso degli spettri SAX.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/efstat.eps,height=7.0cm}}\end{figure}

Per determinare la validitá ed i limiti di questo tipo di analisi, particolarmente nel caso dei dati SAX e ASCA, é stata portata a termine, in collaborazione con il F. Favata di ESA/ESTEC, un'indagine basata su simulazioni di spettri con modelli a due componenti isoterme o assumendo una distribuzione come legge di potenza della misura di emissione in funzione della temperatura. Tale studio mostra l'influenza di diversi fattori come il numero di conteggi nello spettro e la banda spettrale utilizzata, nonchè del modello assunto per il best fitting degli spettri (2-T con metallicitá globale variabile o con abbondanze libere per i singoli elementi), nella determinazione dei parametri del modello, ed in particolare della temperatura e delle abbondanze del plasma assunte nella simulazione. Uno dei risultati principali (Fig. 11) é che il rivelatore SAX/LECS permette una migliore determinazione della metallicità globale del plasma rispetto alla misura con ASCA/SIS, grazie alla più larga banda spettrale, che include la regione sotto 0.5 keV. Infatti, quest'ultima - per sorgenti X coronali - risulta relativamente libera da emissione di righe intense, e consente una migliore valutazione del continuo rispetto alla regione sopra 2 keV, la sola utilizzabile a questo scopo negli spettri ASCA; poichè nel processo di fitting la metallicità viene essenzialmente determinata dal peso relativo dell'emissione in righe del ferro, - in particolare quelle del complesso L, dominanti intorno a 1 keV - rispetto all'emissione nel continuo, l'incertezza risultante dai fit degli spettri SAX/LECS simulati risulta inferiore a quella derivata dalle simulazione di spettri ASCA/SIS, assumendo il corretto modello (2-T) di emissione del plasma. Invece, nel caso in cui il modello di emissione assunto nel fit spettrale non sia corretto, come ad esempio nel caso in cui un modello a 2-T venga adottato laddove lo spettro della sorgente deriva piuttosto da un plasma con una distribuzione continua di misura di emissione, il lavoro mostra che tale assunzione può introdurre errori sistematici nella valutazione della metallicità.

L'analisi spettrale sopra descritta è stata applicata a numerose osservazioni di stelle di tipo spettrale avanzato, con diverse caratteristiche dal punto di vista dello stato evolutivo (cioè dell'etá della stella), del livello di emissione in raggi X, e dell'appartenenza o meno a un sistema binario. In particolare, sono state analizzate osservazioni di $\beta $ Ceti, una stella gigante singola, HD 9770, una binaria a eclisse di corto periodo, AD Leo ed EV Lac, nane rosse note per i frequenti brillamenti (flare stars), UV Ari e II Peg, binarie appartenenti alla classe dei sistemi tipo RS CVn, 30 Ari ed $\eta$ Boo, due stelle classificate come supermetalliche, e AB Dor, una stella giovane molto attiva.

Nell'ambito del Core Program del satellite SAX sono state effettuate diverse osservazioni di sorgenti coronali, la cui analisi é stata completata già nel 1998. Tra le prime sorgenti osservate vi é $\beta $ Ceti, la stella gigante singola (tipo spettrale K0III) più luminosa in raggi X ($L_{\rmx}~\sim~10^{30}$ erg s-1). L'interesse di tale sorgente sta nel fatto che stelle di tipo spettrale simile, verosimilmente appartenenti alla classe delle clump giants, mostrano luminosità X distribuite in un intervallo di più di tre ordini di grandezza, e non è ancora chiaro quale sia il parametro che controlla l'efficienza della dinamo stellare in questa classe di sorgenti coronali. L'analisi dei dati SAX, insieme ad una rianalisi dei dati ASCA, utilizzando uno dei modelli di emissività del plasma più aggiornati (MEKAL), ha mostrato che l'abbondanza dei metalli in corona risulta compatibile con le più recenti (e affidabili) misure di abbondanze fotosferiche disponibili, laddove precedenti lavori avevano suggerito abbondanze coronali anomale.

Un'altra osservazione SAX già pubblicata, in collaborazione con i G. Tagliaferri e S. Covino dell'Osservatorio di Brera, è quella della binaria ad eclisse HD9770, per la quale è stata ottenuta un'osservazione continua che copre circa 3 periodi orbitali. C'è indicazione nei dati di una modulazione dell'emissione X con il periodo orbitale del sistema binario, e di una intensa attività dovuta a brillamenti. L'emissione quiescente mostra una metallicità fortemente non solare ($\sim $ 0.3 volte quella del Sole) e una struttura in temperatura a due componenti. Vi sono inoltre indicazioni che l'abbondanza di metalli in corona possa essere aumentata durante uno dei brillamenti osservati. Variazioni di questo tipo sono state suggerite dall'analisi di altri brillamenti intensi osservati in stelle attive (vedi il caso di EV Lac, illustrato più avanti), ma non esiste a tutt'oggi un consenso sull'interpretazione di questo fenomeno.

Altre osservazioni SAX e ASCA, di cui è stata completata l'analisi, sono quelle delle stelle a brillamenti AD Leo ed EV Lac. Queste osservazioni mostrano forti variazioni non periodiche del flusso X (cf. Fig. 12), probabilmente legate alla dinamicità dell'attività coronale, e durante l'osservazione di EV Lac con ASCA si è verificato uno dei brillamenti stellari più intensi in raggi X mai registrati. Gli spettri X di queste due stelle mostrano, anche al di fuori di brillamenti eccezionali, la presenza di una ``coda'' ad alta energia, compatibile con una componente termica a temperatura maggiore di circa 40 milioni di gradi (cf. 13).
 
 

Figure 12: Curva di luce della emissione X della stella dMe AD Leo osservata dai rivelatori MEX a bordo di SAX. Si noti la presenza di evidente variabilità associata a brillamenti.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/mec_adleo_lc.ps,width=10cm,angle=-90}}\end{figure}


 
 
Figure 13: Spettro complessivo della stella dMe AD Leo come osservato dai rivelatori LEX e MEX a bordo di SAX. Si noti che per ottenere una rappresentazione adeguata dello spettro e` necessario includere una componente di emissione con temperatura maggiore di 40 milioni di gradi.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/3t_fit_adleo.ps,width=10cm,angle=-90}}\end{figure}

L'eccezionalità del brillamento di EV Lac, avvenuto durante un'osservazione ASCA nel luglio del 1998 (PI F. Favata, ESA/ESTEC; Fig. 14), sta nell'energetica di questo evento: la luminosità massima raggiunta è stata pari a circa il 25% della luminosità bolometrica della stella, mentre l'energia totale, rilasciata in un tempo scala di 30 minuti, è stata pari a quella normalmente irradiata in modo costante dalla stella in un arco di tempo di poco inferiore. L'analisi degli spettri X (Fig. 15) mostra un'aumento significativo della metallicità del plasma fino a un fattore 3 al picco del brillamento, seguito da una diminuzione al valore quiescente ($Z =0.3 Z_{\odot}$) durante il decadimento. L'analisi di quest'ultimo, svolta con il metodo descritto nella sezione 2.1.6, fornisce chiara evidenza che il rilassamento del plasma alle condizioni pre-brillamento è guidato primariamente dalla modalità del riscaldamento, il quale non cessa repentinamente (come assunto da alcuni modelli di brillamenti solari e stellari), ma prosegue durante il decadimento. Un'altra caratteristica di questo brillamento, come pure di alcuni altri molto intensi osservati con SAX, è la forma della curva di luce (Fig. 14), descrivibile con due leggi di decadimento con diversi tempi caratteristici (la prima fase del decadimento più veloce, seguita da una fase più lenta): non esiste attualmente una chiara comprensione di questa caratteristica, la quale potrebbe essere verosimilmente legata al meccanismo di rilascio di energia durante il brillamento. Una descrizione in termini di un'unica legge esponenziale (Fig. 15) è stata comunque utilizzata per la stima delle dimensioni della struttura coronale da cui ha avuto origine il brillamento: essa è risultata pari a circa metà del raggio stellare, cioè grande ma non eccezionale, lá dove analisi di questo e di precedenti brillamenti, effettuate senza tenere conto del riscaldamento sostenuto, forniscono lunghezze di 2 raggi solari, assai difficili da interpretare su una base di analogia con la corona solare.
 
 
Figure 14: Curva di luce in raggi X di EV Lac (dM3.5e) durante l'osservazione effettuata nel luglio 1998 con il satellite ASCA. Il flare è il più intenso mai registrato per una stella di sequenza principale, al picco del flare la luminositá X é all'incirca pari al 25% della luminositá bolometrica quiescente della stella.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/evlac_lc.ps,width=10cm}}\end{figure}


 
 
Figure 15: Variazione temporale dei parametri spettrali (metallicità del plasma, in alto a sinistra; misura di emissione, in alto a destra; temperatura, in basso a sinistra) e curva di luce (in basso a destra) durante il flare di EV Lac. La linea continua in quest'ultimo pannello rappresenta la curva di decadimento esponenziale di best-fit, usata per l'analisi. La linea tratteggiata nel grafico della metallicità indica il valore determinato nella fase quiescente.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/evlac_fit.ps,width=8cm}}\end{figure}


 
 
Figure 16: Curva di luce di UX Arietis osservata in raggi X da SAX con lo strumento PDS sensibile ai raggi X con energia maggiore di 20 keV.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/uxari_lc.ps,height=6cm,angle=-90}}\end{figure}

Uno dei risultati più interessanti ottenuti da SAX nel campo delle corone stellari é stata un'osservazione di UX Ari, una delle binarie RS CVn piú attive, condotta in collaborazione con G. Tagliaferri dell'Osservatorio di Brera. La stella é stata osservata da SAX il 28-30 agosto 1997, per circa un giorno. L'osservazione ha colto la stella durante un intenso flare (Fig. 16) con un'intensità di picco circa un fattore 10 superiore all'emissione presumibilmente quiesciente osservata al termine del flare. Il tempo di decadimento del fenomeno nella banda 2 - 10 keV é di circa 13 ore. L'alto numero di conteggi ha permesso un'analisi temporale degli spettri durante tutta la fase di decadimento. Lo spettro attorno al picco é riprodotto da un modello termico a due temperature, con la temperatura piú bassa di 2.9 keV quella piu' alta di 9.6 keV, e un rapporto di misure di emissione di $\sim $1. La metallicità é circa un terzo quella solare. Al termine del flare, le due temperature sono diminuite a 0.9 e 2.6 keV, il rapporto delle misure di emissione é salito a $\sim $ 3, e la metallicità é ancora fortemente sottosolare, con un valore attorno a $\sim $ 0.2 volte la metallicità del Sole. La luminosità quiescente della stella al termine del flare é di circa $1\times 10^{31}$ erg s-1 e l'energia totale liberata durante il flare é $> 5 \times 10^{36}$ erg.
 
 
Figure 17: Spettro totale di UX Arietis come osservato da SAX. Si noti la coda ad alte energie.

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/uxari_pds.ps,height=6cm,angle=-90}}\end{figure}

L'aspetto interessante di questa osservazione di UX Ari é che emissione X dura (E > 20 keV) é stata rivelata dallo strumento PDS a bordo di SAX (Fig. 17). Questa é la prima volta che emissione X dura viene rivelata in una stella altrimenti "normale". Un simile risultato é` stato ottenuto da SAX anche per un flare di grande intensitá su Algol (PI J. Schmitt), nonche' nella nostra osservazione SAX di AB Dor (vedi piú avanti). L'emissione X dura osservata in UX Ari potrebbe essere una componente non-termica (come osservato, ma a livelli molto più bassi, nei brillamenti solari), oppure potrebbe essere una componente termica prodotta da plasma a temperature di $\sim 10^8$ K. Una estrapolazione ad alte energie del fit a 2-T dello spettro 0.1 - 10 keV suggerisce che l'emissione X dura sia per la massima parte di natura termica, ma una componente addizionale non termica non può essere esclusa. La coda ad alta energia nello spettro appare persistere per tutta la durata dell'osservazione, suggerendo la possibile presenza di emissione X dura nei sistemi binari attivi anche molte ore dopo grossi brillamenti. Per verificare questa ipotesi, UX Ari sarà riosservata da SAX per un periodo piu' lungo (circa 3 giorni), in modo da poter studiare la relazione tra emissione quiescente ed emissione di flare, particolarmente per quanto riguarda l'emissione X dura.
 
 
Figure 18: Curve di luce in raggi X (0.1-10keV) della della stella giovane AB Doradus, osservata con il satellite SAX. In ascissa sono riportati i giorni Giuliani (asse inferiore) e i cicli rotazionali (asse superiore). I segmenti in basso indicano gli intervalli temporali per i quali è stata effettuata l'analisi spettrale, i cui risultati sono illustrati in Fig. 19. Da notare che la curva di luce del 29 Nov è stata troncata in modo da avere la stessa durata (50 ksec) dell'osservazione del 9 Nov; il segmento q copre solo parte della fase quiescente seguita al secondo brillamento, durata complessivamente due periodi rotazionali.
\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/abdor_9nov.ps,height=4.5cm}}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/abdor_29nov.ps,height=4.5cm}}\end{figure}
AB Doradus (HD 36705, K0-K1 V) è una stella singola giovane, molto vicina (circa 15 pc) e luminosa in raggi X, e quindi un oggetto particolarmente interessante per la possibilità di effettuare spettroscopia X con dati a rapporto segnale/rumore molto maggiore che per stelle simili in ammassi aperti (a distanze minime circa 8 volte maggiori di AB Dor). Sono state effettuate due osservazioni SAX di questa stella, a distanza di un mese circa, per un totale di quattro periodi rotazionali di cui tre consecutivi, con lo scopo di studiare la modulazione dell'emissione X indotta dalla presenza di regioni attive. Durante queste osservazioni si sono verificati due grossi brillamenti, molto intensi e simili tra di loro, per i quali è stato possibile effettuare un'analisi spettrale temporalmente risolta, durante le fasi di salita e di decadimento; al secondo brillamento è seguita una fase quiescente, durata circa due periodi orbitali.

Gli spettri sono stati analizzati con un modello a due componenti termiche, con la metallicità globale del plasma inclusa tra i parametri liberi. L'evoluzione temporale delle temperature, delle misure di emissione relative, della metallicità, e della densità di colonna di idrogeno, durante i brillamenti e nella fase quiescente, sono mostrati in Fig. 19). Da notare le temperature estremamente elevate, intorno ai 100 milioni di gradi, osservate al picco dei due brillamenti, lá dove l'emissione in raggi X è stata circa 100 volte superiore a quella quiescente, ovvero pari a circa un decimo della luminosità bolometrica della stella. Particolarmente sorprendente per una stella giovane (ma in linea con altri risultati ottenuti per stelle molto attive osservate con ASCA e SAX) è la bassa metallicità ($\sim $ 0.5 volte quella solare) trovata per AB Dor, nonostante che la sua abbondanza fotosferica sia solare. Questo valore è compatibile, seppure marginalmente, con quello trovato precedentemente con un'analisi congiunta di spettri ASCA ed EUVE della stessa stella. Questi risultati sembrano indicare una differenza tra le abbondanze coronali e quelle fotosferiche in stelle attive. Un analogo fenomeno, ma in senso opposto, é forse presente anche nel Sole, dove gli ioni con potenziale di prima ionizzazione (FIP) basso, come quelli del ferro e di altri metalli pesanti, risultano più abbondanti rispetto a quelli con FIP alto (C, N, O, Ne).
 
 

Figure 19: Analisi spettrale in funzione del tempo dei brillamenti di AB Doradus visti da SAX. Dall'alto in basso, i pannelli mostrano l'evoluzione temporale delle temperature delle componenti termiche, delle relative misure di emissione, della metallicità, e della densità di colonna di idrogeno, ottenute dal best-fit congiunto degli spettri SAX LECS e MECS, durante le osservazioni del 9 Nov (a sinistra) e 29 Nov (a destra). La linea tratteggiata negli ultimi due pannelli in basso indica il valore della densità di colonna di idrogeno interstellare, derivata da precedenti osservazioni nella banda EUV.
\begin{figure}\centerline{\hbox{\psfig{figure=XSPEC/abdor_9nov_2t.ps,height=14cm}\hspace{0.2cm}\psfig{figure=XSPEC/abdor_29nov_2t.ps,height=14cm}}}\end{figure}
Da una analisi del decadimento dei brillamenti, con la tecnica descritta nella sezione 2.1.6, sono state ricavate le dimensioni delle strutture coronali coinvolte nel fenomeno, che risultano confrontabili ma certamente minori del raggio stellare. La mancanza di modulazione rotazionale dell'emissione X (entrambi i brillamenti sono stati seguiti per più di mezzo periodo orbitale) suggerisce che le strutture possano trovarsi in una fascia ad alta latitudine sulla stella, lá dove - da analisi spettrofotometriche nell'ottico - è nota l'esistenza di estese macchie stellari a livello fotosferico. Questa caratteristica è stata osservata per altre stelle molto attive, ma non sul Sole, dove le regioni magnetiche attive si trovano solo a basse latitudini.

L'analisi, tuttora in fase di completamento, delle osservazioni simultanee di AB Dor con gli strumenti a più alta energia (High Pressure Gas Scintillation Proportional Counter e Phoswich Detector System), mostra la presenza di emissione X dura (E > 20 keV), come già visto per la binaria attiva UX Ari.

Di natura diversa dalle precedenti è stata la scelta delle stelle 30 Ari ed $\eta$ Boo (Fig. 20), selezionate per osservazioni con ASCA. Queste stelle sono state classificate come supermetalliche ([Fe/H] $\sim $ 0.3) in base a osservazioni spettroscopiche nell'ottico, caratteristica alquanto rara per stelle note come emettitori in raggi X. Lo scopo dell'osservazione con ASCA è stato quello di studiare le abbondanze dei metalli in corona per un confronto con quelle fotosferiche, e verificare se esse risultano tanto basse quanto quelle derivate per la maggior parte delle stelle attive sopra elencate (in condizioni quiescenti).
 
 

Figure 20: Spettro ASCA/SIS della stella supermetallica 30 Ari e modello di emissione termica con abbondanze di O, Mg, Si e Fe incluse tra i parametri liberi. La curva tratteggiata mostra il contributo all'emissione (componente gaussiana) dovuto a righe da stati altamente eccitati di Fe XVII, Fe XVIII e Fe XIX. Da notare le intense righe di emissione intorno a 1.3keV e 1.8keV dovute a Mg XI e Si XIII, elementi sovrabbondanti rispetto al ferro, nella corona di questa stella. 

\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/smr_sp.ps,height=6cm}}\end{figure}

Una delle incertezze insite nella determinazione delle abbondanze da analisi degli spettri X, resta nell'accuratezza e completezza dei codici di emissività per plasmi otticamente sottili: questi comprendono, in generale, tutte le righe più intense degli ioni degli elementi cosmici più abbondanti, ma vi sono significative incertezze nelle popolazioni di questi ioni, in funzione della temperatura, e nell'intensità delle righe di transizione, dovute ad approssimazioni nella descrizione dei livelli energetici; inoltre, le transizioni dovute a decadimento da stati altamente eccitati (con numero quantico principale $n \geq 4$) sono per la maggior parte ignorate. L'inclusione di alcune di queste transizioni nei modelli di emissività, può determinare una variazione dei parametri di best-fit, ottenuti con l'analisi di spettri X di sorgenti coronali. Questo effetto è stato studiato nel caso delle osservazioni ASCA di 30 Ari ed $\eta$ Boo, e si è mostrato che la metallicità così derivata può risultare maggiore (fino a un fattore 2) di quella stimata ignorando il contributo delle righe da stati molto eccitati del Fe XVII, Fe XVIII e Fe XIX, nei casi in cui il plasma abbia una componente dominante a temperature intorno a $5 \times 10^6$ K (tipiche in molte corone stellari).

L'analisi spettrale delle stelle supermetalliche ha indicato che la metallicità del plasma coronale è minore ma marginalmente compatibile con quella fotosferica, essendo il valore dell'abbondanza del Fe affetto da un'incertezza statistica relativamente grande; esiste invece una indicazione di una significativa sovrabbondanza di Mg e Si rispetto al Fe (con rapporti Mg/Fe e Si/Fe 3-4 volte quelli solari). La conclusione è che queste stelle supermetalliche sembrano avere proprietà della corona simili a quelle di altre stelle F e G di sequenza principale, le cui abbondanze fotosferiche sono ``normali'': in altri termini, le possibili differenze nella composizione chimica del plasma coronale non sembrano influenzare significativamente il bilancio energetico, nonostante l'aspettativa di una variazione nella funzione di perdita radiativa dovuta alla sovrabbondanza di metalli nel plasma emittente.

Per quanto riguarda la spettroscopia con le nuove missioni spaziali, Chandra (USA) ed XMM (Europa), i ricercatori dell'Osservatorio di Palermo saranno coinvolti sia nell'analisi di osservazioni di calibrazione che in osservazioni effettuate nel ``Tempo Garantito'', per entrambi i satelliti, avendo partecipato allo sviluppo di alcuni dei rivelatori (in particolare, la High Resolution Camera di Chandra e lo European Photon Imaging Camera di XMM).

Chandra è stato lanciato il 23 luglio del 1999, ha terminato la fase di calibrazione e verifica della strumentazione alla fine di settembre dello stesso anno, ed ha successivamente iniziato le osservazioni della fase di ``Tempo Garantito''. I ricercatori dell'Osservatorio di Palermo hanno da poco iniziato a collaborare con i colleghi americani presso il Chandra X-ray Center (CXC) di Cambridge, Massachusetts, all'analisi di immagini e spettri ottenuti sia con il rivelatore a CCD denominato ACIS, sia con la High Resolution Camera (HRC). In riferimento alla spettroscopia in raggi X di corone stellari, i dati di maggiore interesse sono quelli ottenuti con tre diversi reticoli a trasmissione il cui spettro viene disperso su entrambi i rivelatori (in particolare, il Low-Energy Transmission Grating, LETG, disperde preferenzialmente su HRC-S, mentre il Medium- e High-energy Transmission Grating, MEG e HEG, disperdono su ACIS-S). La risoluzione spettrale prevista per questi spettri è $\Delta \lambda \sim 0.06$ Å per il LETG, nella banda 3-60 Å , 0.024 Å per il MEG (0.5-10keV) e 0.012 Å per HEG (0.8-10keV), le ultime due valutate a 12.4 Å .

In fase di calibrazione sono state effettuate diverse osservazioni di Capella, una binaria (G5 III + G8 III) a lungo periodo molto luminosa in raggi X, la quale è stata simultaneamente osservata anche con i satelliti SAX ed EUVE. In collaborazione con il gruppo SAX di ESA/ESTEC, si procederà alla calibrazione incrociata di questi tre strumenti; contestualmente a questo lavoro sarà possibile studiare la natura delle righe di emissione nello spettro X di Capella, e comprendere se e quali siano le limitazioni nei codici di emissità per plasmi otticamente sottili; a tale scopo il gruppo dell'Osservatorio di Palermo partecipa all'Emission Line Project, una collaborazione internazionale lanciata da N. Brickhouse e J. Drake, attualmente presso CXC.
 
 

Figure 21: Risultati di simulazioni di spettri EPIC/pn con $3 \times 10^4$ conteggi in totale, assumendo tre diversi valori della metallicità del plasma (come indicato in ascissa). I pannelli a-b si riferiscono a un modello di sorgente con due componenti termiche a T1 = 1.0 keV e T2 = 3.0 keV (modello ``caldo''), e i pannelli c-d a un modello con T1 = 0.5 keV e T2 = 2.0 keV (modello ``freddo''), entrambi con rapporto tra le misure di emissione EM2/EM1 = 1. Il modello usato per il fitting è anch'esso un modello a 2 componenti. I pannelli mostrano boxplots del rapporto delle misure di emissione di best-fit ( a,c) e del rapporto tra la metallicità di best-fit e quella assunta nello spettro simulato, Zfit/Zinput ( b,d). In ciascun box, la linea orizzontale centrale indica il valore mediano della distribuzione dei parametri di best-fit, ottenuti in 200 simulazioni indipendenti; i lati inferiore e superiore indicano l'intervallo interquartile centrale in cui sono compresi il 68% dei risultati. Da notare come questo intervallo, confrontabile con l'incertezza a 1$\sigma $ attesa nell'analisi di dati reali, sia maggiore per valori decrescenti della metallicità di ingresso, e per il modello ``freddo'' rispetto a quello ``caldo''). Poichè la statistica dei fotoni è la stessa in tutte le simulazioni, l'incertezza è dovuta alla correlazione incrociata dei parametri del modello: infatti, si verifica che la metallicità e il rapporto di misure di emissione, risultanti dall'analisi spettrale, sono correlati.
\begin{figure}\centerline{\psfig{figure=XSPEC/epic_2t_box.ps,height=11cm}}\end{figure}
Infine, e' proseguito lo studio delle potenzialità spettroscopiche della futura missione europea XMM (di cui è Mission Scientist Roberto Pallavicini). A questo scopo sono state realizzate simulazioni spettrali per vari tipi di sorgenti coronali (un esempio è mostrato in Fig. 21) e sono stati elaborati possibili programmi di osservazione per sfruttare appieno le potenzialità della missione. XMM avrà a bordo rivelatori CCD (strumento EPIC di cui sono Co-I G. Peres ed S. Sciortino) e spettrografi X a reticoli di riflessione (strumento RGS), che per la prima volta permetteranno di ottenere un gran numero di spettri X di elevata qualità per stelle di tutti i tipi spettrali e classi di luminosità, sia di campo che di ammasso. Sono stati presentati programmi di osservazione per il tempo garantito di XMM, con particolare riferimento ad osservazioni spettroscopiche di ammassi aperti e di regioni di formazione stellare, nonché per il Guest Observation Program.



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